L’UNNO E L’ANGELO

Il presupposto per la messa in scena di questo spettacolo è che il pubblico a teatro sia un
pubblico televisivo espropriato del telecomando. Chi altri potrebbe tollerare una pièce nella formula
della doppia intervista che si compone di due lunghi monologhi avvinti l’uno con l’altro seppur
autonomi? Si tratta, come scoprirete, di una drammaturgia in forma di doppia elica (come quella del
DNA), in cui le vite di due esseri umani agli antipodi appaiono connesse sommariamente, per tradire,
nella successione dei diciassette singoli quadretti, molte più connessioni e molto meno labili (diciamo
dei nucleotidi tematici) che avviandosi verso l’epilogo renderanno queste due narrazioni in prima
persona un unicum.
I protagonisti, lo avrete già capito, sono Roberto Bolle e Vladimir Putin: chi meglio di loro
potrebbe, oggidì, costituire l’emblema della levità e della prepotenza?
Da qui la scelta di far interpretare il primo personaggio dall’originale che si racconta su uno
schermo e il secondo da una tra le tante controfigure che egli stesso ha messo in circolazione.
Non c’è un dialogo tra i due, poiché il volto e la voce dell’Angelo sono registrati mentre l’Unno
recita dal vivo; cionondimeno saranno i ricordi del primo a evocare quelli del secondo, così come
quelli del secondo diventeranno metro e misura postuma di quelli del primo. Immaginate una finale
mondiale di tennis nella quale le due metà campo non siano separate dalla rete ma da un vetro
antiproiettile a tutta altezza. L’alternativa a giocare contro se stessi è tirare prolissi pallonetti che
facciano venire il torcicollo agli spettatori. Torcicollo sia!
A differenziare le narrazioni provvederà il tempo verbale. L’Angelo si racconta al passato
remoto, come ogni uomo risolto che contempli la propria vita e gli appaia qualcosa di compiuto;
l’Unno parla al passato prossimo, il tempo di coloro che non sono riusciti ad affrancarsi da sé stessi.
Cambia anche il modo in cui vengono evocati i genitori: mamma e papà per l’Angelo; padre e madre,
con tutto il corollario di attributi di possesso, per l’Unno.
Quest’ultimo ha in mano il più alto simbolo del potere casalingo: un telecomando, che gli
consente di mettere in pausa il video e farlo ripartire a piacimento. Quando l’Unno guarda e ascolta
l’Angelo è immobile e volge le spalle alla platea o sta seduto su un trono messo insieme alla bell’e
meglio; quando è lui a parlare fa quello che gli pare.
La scena si svolge in una cella.
Alle pareti sono appese centinaia di fotografie che ritraggono l’Unno. Una scaffalatura accoglie
souvenir da tutto il mondo e modellini di aerei e yatch. Foto, souvenir e modellini offrono la prova di
quello che è stato, dei luoghi che ha visitato, di ciò che ha posseduto. Ad essi può rivolgersi
direttamente o chiamarli a testimoni.
L’alternativa a questa ideuzza è che il regista sia un genio. Non è il caso mio.

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