1) L’opera “Londonapule” ispira a coltivare la diversità per far crescere un’identità, è anche un monito a non ingabbiare la cultura in schemi predefiniti, ad allargare orizzonti artistici nello scambio creativo?
L’idea di LondoNapule in origine non nasce con l’intenzione di definirsi un’opera. Nasce da un bisogno quasi auto-comunicativo per raccontare a me stesso i lati più oscuri della mia personalità. Evolve successivamente in strumento auto-terapeutico per dare un senso, in termini psicologici, a quei lati oscuri. E diventa opera quando emerge il bisogno di condivisione con chi possa riconoscersi in questa storia. Di certo prova a ispirare lo spettatore all’introspezione liberandolo dalle paure e resistenze a farlo. In questa accezione rifugge da schemi o format canonici (vedi la anche la combinazione musica e teatro) vuoi anche perché la proposizione dei temi cardine dell’opera appare quasi provocatoria, punta, talora, a forzare lo spettatore a una riflessione, a un’azione, alla esplicitazione consapevole della propria identità, qualunque essa sia. Di certo prova a coltivare la comprensione della propria identità con tuti gli strumenti che abbiamo a disposizione nella vita, rifuggendo da stereotipi o conformismi. I modi per portare alla coscienza la propria identità, la propria vera natura, sono molteplici ed io, nella mia quotidianità, provo a farlo con qualunque strumento emotivo la vita mi mette a disposizione: la musica, la poesia, il teatro, la scrittura, la confessione sincera all’amico o allo sconosciuto. Un processo libero, un flusso di coscienza non programmabile che conduce a un’opera che neanche io, che l’ho prodotta, riesco o desidero racchiudere in una cornice classificatoria.
2) Londonapule è l’unica opera del Festival che mette al centro il rapporto tra musica e teatro; cosa lo ha spinto ad avvicinare questi due mondi?
Premetto che mi inorgoglisce sapere che è l’unica opera a possedere tale connotazione. Le musiche di LondoNapule sono nate prima della stesura della parte teatrale, solo una canzone è stata scritta e aggiunta a conclusione del copione. Le canzoni sono nate, inizialmente, con lo scopo di farne un CD. Mi sono reso conto che la sola proposizione musicale live non mi avrebbe permesso di esplicitare compiutamente i messaggi contenuti nelle canzoni, anche perché sono cantate prevalentemente in inglese e napoletano…..LondoNapule appunto. A quel punto ho deciso di “prelevare” una decina di quelle canzoni e immergerle in una trama teatrale affinché il messaggio potesse arrivare meglio. Credo che la musica si presti fino a un certo punto (specie in questa epoca…) all’obiettivo di approfondire tematiche introspettive: le melodie, la combinazione di più strumenti musicali, possono esercitare un poter distrattivo nei confronti del testo di una canzone. Il racconto teatrale può invece inchiodare lo spettatore al messaggio che si vuole mandare senza troppe distrazioni. Di qui l’idea di rappresentare ognuna delle emozioni da veicolare sia in forma musicale che teatrale: lo spettatore, in base alle sue attitudini sensoriali, deciderà come appropriarsi di esse connettendosi al momento musicale o a quello teatrale, o auspicabilmente a entrambi.
3) Come vede il rapporto tra teatro, musica e intelligenza artificiale? Sono due mondi così distanti?
Domanda che richiede una risposta molto articolata. Da tempo la musica delega parte del processo creativo a strumenti tecnologici ma con risultati alterni, si pensi all’autotune, alla digitalizzazione delle registrazioni musicali, all’utilizzo di timbri vocali di famosi cantanti in sostituzione della propria voce e via di seguito. Tentativi che non mi convincono molto o non mi convincono fino in fondo perché conferiscono al momento creativo un’aura di artificialità che contraddice il processo creativo stesso! Qui la distanza tra i due mondi va riducendosi sempre più. A contrario il teatro, che si realizza e consuma rigorosamente dal vivo, sfugge ancora alla morsa della tecnologia a meno di proposizioni artistiche “iper-sperimentali” che portano in scena la tecnologia in affiancamento o in sostituzione della voce e del corpo umano. I processi creativi però vanno modificandosi, viviamo in un’epoca dove si è meno sensibili alla lettura dello spazio circostante, alla conoscenza critica del mondo in cui viviamo, ci si rifugia in stereotipi captati senza troppi sforzi dagli strumenti tecnologici che sono diventati appendici del nostro corpo e del nostro cervello, ci poniamo sempre meno domande e di conseguenze le vene creative vanno inaridendosi: in tanti attingono all’IA per trovare spunti e argomenti creativi che dentro di se non trovano.
4) Cosa lo ha spinto ad aderire alla proposta contenuta nella Rassegna del “Canotto parlante”
In primis il confronto con una platea finalmente non composta da amici, conoscenti e amici di amici, quindi la sottoposizione alla critica (quella della giuria inclusa) di chi non mi conosce. Sono nemico della “benevolenza gratuita” perché non aiuta a crescere e maturare un giudizio critico oggettivo verso se stessi e il proprio lavoro.
Il tema del conflitto generazionale, oggetto della rassegna, ha influito molto nella decisione di aderire e poter raccontare il mio punto di vista sul tema. E poi, in piena onestà intellettuale: l’ego gioca un ruolo centrale nel processo creativo e ancor più nel processo realizzativo e di messa in scena di un’opera: perché sottrarsi a un’opportunità così accattivante?